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Avevo letto “The Circle” lo scorso anno, il libro di Dave Eggers del 2013, colpito da una conferenza sulle opportunità ed i rischi dell’IOT (l’Internet delle cose), a cui avevo partecipato. E quando ho saputo che stava arrivando nelle sale il film tratto dal libro, non ho perso tempo ed ho provato ad organizzare qualcosa.

L’idea è stata il vedere il film con un esperto del settore, un evangelist dell’identità digitale, per provare a capirne qualcosa in più, ma soprattutto per cercare di dare una risposta a delle domande che da tempo, da appassionato, ritornano periodicamente a bussare alla mia porta.

Emma Watson in una scena del film "The Circle"
Emma Watson in una scena del film “The Circle”

Ecco come è nata la serata al cinema con Livio Brachetti, CEO di Social Nation, una Startup innovativa a vocazione sociale, che sta portando avanti un progetto di Identità digitale che mi ha molto incuriosito.

Ho capito subito che non sarebbe stata una visione da “popcorn e patatine”: troppe cose da chiedere, ma soprattutto il presuntuoso pensiero di poter catturare in Brachetti qualche reazione “da addetto ai lavori”.

The Circle, di cui non anticiperò nulla, per evitare fastidiosi ed ingiusti spoiler, racconta la connessione totale alla rete, l’abbattimento del concetto di privacy.

Dopo il film provo a focalizzare sulle domande che avevo preparato, ma mi rendo subito conto che alcune scene e soprattutto tutta la grafica digitale che scorre sul grande schermo per dare l’effetto di iperconnessione, mi convincono a qualche considerazione di pancia.

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Livio Brachetti – CEO Social Nation

Mario: “Livio, ma anche a te infastidisce questa rappresentazione del mondo social tutta basata sui LIKE?”

Livio Brachetti (ride): “Mah, ammetto di non essere un grande frequentatore delle platee social. Sono nato con l’informatica, me ne sono innamorato e poi l’ho sposata lavorando con Apple per 22 anni. E’ vero che viviamo in un mondo iperconnesso, che ogni giorno siamo sommersi da un numero infinito di selfie e di “call to action”, ma non sono poi così sicuro che la gente sia proprio come la rappresenta The Circle o come in “Caduta Libera” di Black Mirror. Forse quello che può comportare dei rischi è il cambiamento dei costumi sociali, la mancanza di attenzione quando si raccontano in rete cose personali, dimenticando alcune regole base della sicurezza personale. Sai, mi diverte un sacco la storia di quel pregiudicato scappato all’estero e ritrovato perché aveva postato una sua foto in un’isola tropicale mentre assaporava un super gelato!“

Mario: “Abbattere totalmente il concetto di privacy, considerato una forma di ignoranza e di egoismo, come se si volesse privare la comunità di momenti importanti. Questo il meccanismo su cui si basa THE CIRCLE. Il meccanismo per arrivarci è TruYou, un sistema di Identificazione Digitale che assomiglia non poco al vostro It’sMe. Mi chiedo: ma validare la propria identità digitale significa davvero dover abbattere il concetto di privacy?”

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Livio: “Innanzitutto lasciami definire meglio la questione, dal punto di vista dei “confini”. Viviamo un periodo in cui la tecnologia ci permette grandi opportunità, sia sociali che professionali. Queste opportunità possono essere raccolte a patto di una ovvia “cessione”, ma questo deve avvenire in modo controllato e soprattutto con consapevolezza, per continuare ad essere “padroni” dei nostri dati. Ma avere una id digitale non deve mai significare essere ipertrasparenti al mondo internet.

Lasciami fare un esempio: immagina di voler avere la possibilità di utilizzare della tua documentazione personale (i tuoi dati anagrafici reali, documenti personali, cartelle cliniche, estratti conto bancari) per poter attivare un contratto di abbonamento o un prestito personale. Sfruttando le tecnologie informatiche può essere possibile mettere quanto ti è richiesto a disposizione dell’azienda. Se hai a disposizione tutte le informazioni in un piccolo cassettino digitale, come lo si chiama in gergo “in cloud” e la tua identità digitale è validata, tutto questo lo puoi fare in pochi istanti, senza problemi. Ma attento, questo non significa aver calpestato la tua privacy. Anzi! Il nostro sistema ItsMe permette l’esatto contrario, di difendere attraverso la tua identità digitale i tuoi documenti.

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Mario: “Se ho capito bene, tu mi dici che a differenza di quello che abbiamo visto nel film, l’identità digitale non è un riversamento dei tuoi dati in un social network?”

Livio (devo aver detto qualcosa di davvero fastidioso, gli occhi di Brachetti sembrano allucinati): NO Mario! Assolutamente no. E questo per due ragioni: 1. l’Identità Digitale è semplicemente un meccanismo che permette di essere riconosciuti come “reali” in un mondo sterminato come il web; 2. Il passaggio di tutti i tuoi dati, anche i più personali, non è solo legato alle tue interazioni con i tuoi amici in Facebook o Instagram; esiste una mole enorme di informazioni che in maniera quasi subliminale fornisci attraverso la tua navigazione web o utilizzando uno smartwatch che registra le tue abitudini. Ed anche in questo bisognerebbe proteggersi attraverso una “identità digitale”: poter scegliere facilmente e in pochi istanti quali dati personali possono essere di volta in volta essere concessi alle aziende, ed ai siti che offrono servizi o prodotti e per ovvie ragioni richiedono la registrazione dei propri dati anagrafici, per poter procedere all’affiliazione o all’acquisto. In breve: semplicità, rapidità e sicurezza.

Mario: “Livio, ma allora mi proponi uno scenario in cui ogni singolo passaggio di dati deve essere controllato? Ma quanto tempo ci vuole a farlo?”.

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Livio: “Prova a pensare quante volte non leggi tutte le norme di privacy, quelle “paginate” di informazioni scritte in piccolo, che regolano l’utilizzo di un software o della Gmail o di un social network. Bene, quello che è possibile fare è avere un sistema che renda questo molto semplice e che ti faccia capire quali dati stai concedendo. Qualcuno ha detto che “i dati sono il petrolio del XXI secolo”. Ma se quindi i tuoi dati sono una risorsa, perché non esserne padroni?

Mario: “La questione inizia ad appassionarmi. Ma come può essere rappresentato in una realtà come quella che disegni il diritto all’oblio?”

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Livio: “Proviamo a ripartire da quello che è il concetto giuridico di diritto all’oblio. Dovrebbe essere una forma di garanzia che prevede di non poter diffondere, senza particolari motivi, questioni legate a dati sensibili ed i precedenti giudiziari di una persona. Non si tratta quindi di un meccanismo di astrazione dal mondo digitale, quanto piuttosto di un diritto a non trattare delle informazioni che devono rimanere riservate. Prova a pensare alla Carta dei diritti di Internet presentata nel 2015 dalla Commissione parlamentare voluta dalla Presidente Boldrini. Quattordici articoli che spaziano dal diritto all’accesso all’educazione passando per la neutralità della rete, la privacy e l’oblio. Ma sai da cosa si parte? La carta pone il diritto all’accesso a Internet come un diritto fondamentale (Art.2), precondizione per esercitare tutti gli altri. E’ questo lo spirito giusto: dobbiamo essere molto attenti, ma dobbiamo anche capire che la rete è innanzitutto una opportunità.

Mario: “Ok, mi vuoi allora presentare il volto buono della rete?”

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Livio: “No Mario, non esiste una questione buoni-cattivi. Spesso l’informazione prova a dipingere la rete del futuro come una distopia, un luogo infernale e ricco di insidie. Ma il futuro è ancora assolutamente nelle nostre mani, anzi nei nostri click“.

Mario: “Per chiudere, dimmi un po’… Ray Kurzweil, uno dei più grandi esperti viventi di tecnologia, ha fissato per il 2045 la cosiddetta Singolarità Tecnologica, ovvero il punto in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani, il momento che segnerà il passaggio dall’intelligenza biologica a una combinazione di intelligenza biologica e artificiale. Pensi che i prossimi 30 anni saranno quindi fondamentali per disegnare il nostro futuro?

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Livio (sorride e scuote la testa): “Nel mondo della tecnologia digitale 30 anni sono quasi l’equivalente di un’era geologica. Non sono sicuro che lo scenario di Kurzweil possa essere la strada maestra. Noi siamo la rete. Per nostra natura costituiamo una rete di infinite reti connesse. Queste interdipendenze hanno permesso di evolverci nei secoli ed io credo che il web si evolverà con noi. Ma ci sono appuntamenti più ravvicinati, che sento come una sfida più viva. Nei prossimi giorni sarà possibile scaricare la App con cui puntiamo a sfidare l’idea di modernità della rete, il nostro It’sMe, un servizio internazionale che permette a ogni cittadino del mondo di identificarsi in rete in modo semplice, veloce e sicuro. “

Mario: “In bocca al lupo allora per It’sMe. Ci diamo già adesso un appuntamento? Magari prima del 2045?”.

Livio: “Facciamo così, senza aspettare il prossimo film sul web, preferisci rivederci per la prossima stagione di Black Mirror o di Halt and Catch Fire?”.

Mario:”Andata!”

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