Allo sbocco di Piazza Solferino in via Micca è diventata un monumento di grande rilevanza la fontana Angelica, un monumento con tanti significati nascosti.
Fu inaugurata il 28 ottobre 1929, realizzata per opera dello scultore Giovanni Riva e fu commissionata del ministro Pietro Bajnotti che, alla sua morte, nel 1919 devolse 150.000 lire perchè venisse costruita a ricordo dei suoi genitori, Angelica Cugiani e Tommaso Bajnotti.
L’installazione avrebbe dovuto sorgere sulla piazza San Giovanni, orientata verso il Duomo, cioè ad est, dove sorge il sole e comunque in un luogo molto importante per le sue coordinate esoteriche.
Nel 1920 la commissione incaricata alla costruzione della Fontana ritenne opportuno spostare l’ubicazione della statua in piazza Solferino.
E non priva di polemiche fu l’assegnazione del lavoro allo scultore Riva:
Le cronache del marzo del 1922 testimoniano:
Il Consiglio comunale approva la decisione della giuria per ii concorso della Fontana Angelica di affidare l’esecuzione dell’opera allo scultore Giovanili Riva.
La nuova fontana sorgerà sulla testata dell’aiuola di piazza Solferino prospettante lo sbocco con via Pietro Micca in un punto centrale, dove più ferve la vita cittadina e che, come è facile prevedere, vedrà con gli anni crescere l’animazione ed il transito: sarà costruita in travertino con gruppi in bronzo ed avrà il vantaggio di poter trovare nelle masse arboree del giardino la decorazione più opportuna. L’artista avrà diciotto mesi di tempo per l’esecuzione dell’opera.
In realtà Riva ci metterà quasi sette anni a completare il lavoro.
L’artista torinese, un autodidatta, lavorò di scalpello per sette anni, facendo e rifacendo, volontariamente recluso nella palestra della scuola Silvio Pellico che il Comune gli aveva messo a disposizione i particolari di una fontana che sembrava essere quasi maledetta.
La prima difficoltà fu legata al lascito che ne avrebbe permesso la realizzazione: i soldi, 150 mila lire, li aveva donati alla città di Torino il ministro plenipotenziario Paolo Baynotti, morto nel marzo del 1919, ed erano destinati a una fontana monumentale che si doveva chiamare Angelica (nel ricordo dei suoi genitori Tomaso e Angelica) ed essere costruita entro trenta mesi dalla sua morte in piazza San Giovanni e in “stile gotico medioevale”. La commissione le lascia solo il nome, ma la vuole “in stile libero” e collocata in piazza Solferino. Passano gli anni, il fondo viene portato a 700 mila lire. Nel 1922 si bandisce un concorso nazionale (72 concorrenti) a cui ne segue un altro (con una cinquantina di concorrenti) e infine un terzo vinto dal trentadueenne Riva, uno scultore ebanista quasi sconosciuto.
Scriveva la Stampa nell’agosto del 1924:
SI è parlato tanto della fontana «Angelica» — in linea di progetti, di previsioni e di polemiche — che l’argomento è diventato un luogo comune. Tema di umorismo, per gli uni, oggetto di satira per gli altri,’si è detto che la fontana e una cosa lunga della quale i torinesi dell’attuale generazione difficilmente vedranno la fine e si è inventata perfino una improvvisa radunata di ranocchi che nella vasca arida della fontana gracidano nel segreto dello steccato di piazza Solferino la loro nostalgica nenia notturna per invocare l’acqua che non zampilla.
Lo scultore Giovanni Riva, investito del compito non indifferente di dare forma ad un progetto discusso dalla generale aspettativa dei cittadini, toccato e preoccupato dalle voci di fronda cui abbiamo sopra accennato, non volendo venir meno alla fiducia guadagnatasi in un concorso nazionale di più gradi, un giorno ha preso il coraggio a due mani decidendo di isolarsi per lavorare con maggiore intensità. Egli ha trasferito i suoi penati dallo studio abituale in una palestra lontana dal centro, dagli amici che si consigliano a vicenda il dolce ozio, e dalle voci di fronda che, volere o non volere, suonavano al suo orecchio di artista come il tedioso sibilo d’una zanzaretta che ronza imperturbabile in una tormentosa notte di caldo. […] La parte architettonica — e diciamola alla buona — il basamento, la struttura della fontana decorativa, costruita ormai completamente con bella saldezza e agilità di linea, è di sienite della Balma biellese. Per gettarla sono occorsi settanta metri cubi di pietra viva. Essa occupa tutta la fronte del giardino, fra i due viali che seguono da una parte e dall’altra lo stendersi della piazza. Trattandosi di fontana, l’acqua deve formare un elemento decorativo di prim’ordine: e questo motivo è stato studiato, quasi direi visto, accuratamente contro luce nello spazio lasciato libero dal verde degli alberi. L’acqua zampillerà in alto, continuando la linea armonica tracciata dalla posa delle figure, cadrà quindi con spargimento velare nel vaso della fontana centrale e nelle vasche laterali dell’esedra.
Come abbiamo già ricordato, questo cambiamento di posizione costrinse lo scultore Giovanni Riva a modificare elementi essenziali della statua per mantenere le coordinate esoteriche della costruzione.
E forse anche per le tante modifiche e per la difficoltà dell’autore di rappresentare i personaggi, si è nel tempo alimentata la leggenda di un significato nascosto legato alla fontana.
La posizione originale voleva che la fontana puntasse verso Est; spostando la statua fu necessario modificare il punto di osservazione delle due statue maschili Inverno ed Autunno, rispettivamente Boaz e Jaquim.
I due giganti Boaz e Jaquim rappresentano i guardiani delle colonne di Ercole, la soglia che porta alla conoscenza. Boaz rappresenta le tenebre e l’ignoranza, volge lo sguardo ad est dove sorge il sole in direzione di Jaquim, l’altra statua maschile che rappresenta la perfezione, la luce, la conoscenza. Boaz e Jaquim reggono degli otri dai quali sgorga l’acqua che simboleggia lo conoscenza con la quale gli esseri umani si abbeverano. Tra le due figure maschili si apre un varco perfettamente regolare che rappresenta la il passaggio verso la conoscenza sorvegliato da Boaz e Jaquim oltre il quale esiste qualcosa a noi sconosciuto.
Primavera ed Estate sono le due statue femminili poste ai lati estremi della fontana. Primavera rappresenta la virtù, la conoscenza del sacro riservata a pochi iniziati. Estate rappresenta il vizio, la conoscenza profana, rivelata a tutti ma celata attraverso i simboli.
Proviamo però a definire anche i cardini del significato più recondito attribuito ai personaggi, legato alle logge massoniche: le statue maschili rappresenterebbero i giganti Boaz e Jaquim, i giganti che sostengono le colonne d’Ercole, il luogo dopo il quale iniziava l’infinito. Boaz sarebbe quindi il primo grado dell’iniziazione che il neofita deve compiere nel lungo cammino su per i 33 scalini delle logge massoniche. Mentre Jaquim rappresenterebbe la perfezione, la conoscenza. Questa conoscenza, sempre ricorrente nella simbologia esoterica, è rappresentata dall’acqua che esce dalle otri che le due statue hanno in mano.
La fontana simboleggerebbe quindi la trasformazione interiore che l’iniziato deve compiere per raggiungere la vera conoscenza, per raggiungere la perfezione.
Sul retro della fontana è interessante osservare la statua di sinistra al fianco della quale ci sono due putti, uno dei quali porge un pesce!
Il pesce è un simbolo del cristianesimo (la parabola di Gesù della moltiplicazione del pane e dei pesci), mentre l’altro ha capelli che sembrano raggi di sole (probabilmente simbolo di Gesù), ed alla sua sinistra si scorge una testa d’ariete, simbolo del diavolo.
Altra particolarità, osservando bene le bocche che buttano fuori l’acqua della fontana sono tutte molto simili, tranne una, la centrale, che rappresenta Medusa, custode dei segreti del labirinto, i segreti alchemici, posta proprio per questo tra la parte anteriore e quella posteriore della fontana.