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“Ma il più bello spettacolo vivo, e nello stesso tempo il più originale, che offra Torino, è la passeggiata sotto i portici”. E’ così che lo scrittore torinese d’adozione Edmondo De Amicis, in un suo saggio di fine ‘800, elogia i portici di Torino.  

De Amicis, Edmondo – Le tre capitali. Torino–Firenze–Roma, Catania, Giannotta, 1897

Considerati dei veri e propri capolavori dell’urbanistica, i portici torinesi furono costruiti nell’arco di numerosi anni per volere del re Vittorio Emanuele I di Savoia, il quale fin da subito ne esplicitava la funzione: grazie ai portici, molti dei quali contigui per interi chilometri, i reali sabaudi non si sarebbero bagnati sotto la pioggia recandosi da Palazzo Reale alla Gran Madre. E ci aveva visto lungo. I portici sono tutt’oggi molto apprezzati dai passanti che trovano rifugio dalle intemperie al di sotto di essi. Ma i portici sono anche molto di più. Offrendoci scorci di rara bellezza e suggestione, per più di quattro secoli quei 18 km di porticato hanno protetto e custodito uomini, negozi, manifestazioni e momenti di vita. Dai lustrascarpe che, anche col freddo pungente, erano lì ricurvi, con spazzole e strofinacci, a lucidare le scarpe dei clienti che, dall’alto delle loro sedute, sbirciavano curiosi per assicurarsi che il lavoro fosse fatto al meglio, alla più lunga delle fiere del libro tenutasi nel 2012, con più di 174 bancarelle che esponevano migliaia di testi disposti diligentemente su molteplici file.

Dai clochard raggomitolati sotto grandi coperte quadrettate, con gli occhi chiusi e la mente affollata dai pensieri, quasi a non voler degnare del loro sguardo un mondo dal quale si sentono sconfitti, fino ai venditori e agli artisti di strada che con un immancabile e timido sorriso cercano di attirare l’attenzione e la bontà dei passanti. I portici torinesi svettano verso l’alto, fieri e consapevoli della loro importanza e, in un infinito abbraccio di archi e colonne, continueranno a sorreggere e tenere al sicuro la nobile Torino.

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